è un celebre discorso ciceroniano
che si traduce “per la propria casa” e può considerarsi l’antenato
dell’acronimo inglese che usiamo oggi, appunto Nimby.
Anche io voglio subito
giustificarmi, uso il latino soltanto per un fine pratico: per dimostrare che parte
da lontano questa negligente diffidenza
a considerare il “bene pubblico” come bene collettivo a disposizione di tutti e
messo lì perché ne usufruisca io e perché io lo conservi e lo protegga facendo
in modo che ne usufruiscano i miei figli e i figli dei miei figli. Linguaggio un po’ troppo biblico il mio, eh
ragazzi! Però, in realtà, se ci pensate, è così.
Trovo molto strano che una
persona senza occupazione paghi un biglietto per andare allo stadio per “difendere” l’onore della propria squadra
(che molto spesso coincide con la propria città) e poi getti i pacchetti di
sigarette o le cartacce per terra o imbratti con le chewing gum i monumenti… è strano pensare che l’onore della città stia
in dei ragazzini che tirano calci ad un pallone ma poi, se la città è sporca,
inquinata, violenta, piena di buche, chissenefrega!
Sono atteggiamenti che cozzano,
direi ipocriti.
E qui torna il pro domo sua.
Cicerone, ci invita a riflettere
su questi due pensieri iniziali:
A) che i
Latini-Romani-Romano-Barbari-Italiani non sono mai cambiati (e questo dimostra
che gli uomini sono trasversali per vizi e virtù, oltre i secoli e attraverso
le etnie); e accumulano cariche in maniera simile e speculare ad oggi (Cicerone,
infatti, svolgeva l’attività avvocatesca, era senatore, scrittore eccetera
eccetera…);
B) che gli uomini spesso hanno scarsa
capacità di distinguere tra “bene pubblico” e “bene personale”.
Di solito la diminuzione o la
perdita della capacità valutativa da parte dei singoli appartenenti ad una data
comunità è un indice evidente e preoccupante di un periodo storico di decadenza
culturale che spesso coincide con la decadenza anche etico-morale degli stessi cittadini,
cosicché l’istituzione che compongono è destinata ad estinguersi o cambiare
inevitabilmente.
Basterebbe leggere e rileggere i
testimoni liberi di ogni epoca, i letterati, coloro che ci hanno restituito i
nomi e i fatti dignitosi e quelli meno: ricordate il Dante di Ahi serva
Italia di dolore ostello, il Petrarca di Italia mia o il Foscolo delle lettere
prostituite, per citare alcuni? Gli esempi sarebbero infiniti…
Innanzitutto dobbiamo ricordare
quale mondo è finito con l’inizio di questa èra postmoderna che stiamo vivendo.
C’è qui un inganno di fondo che non
è mai stato troppo centrato: il passaggio da età antica a età moderna
è stato rapido e spesso traumatico e non è stato postulato da adeguate
spiegazioni di ciò che di buono apparteneva al passato (e dunque era degno di
essere conservato alla posterità) e ciò che è di buono fa parte della nostra
contemporaneità.
La modernità è scienza contro
fede, tecnologia contro lavoro umano intellettuale, metodo induttivo contro
metodo deduttivo ma soprattutto dimensione individuale contro dimensione
universale.
Se vi ricordate, amici, prima
c’erano Impero, Papato e storie del genere, per cui tu eri o per l’imperatore o
per il Papa ma comunque schierato e dentro un’ideologia (con tutte le
contrarietà che le ideologie hanno). Dal Seicento in poi si è passati ad un
atteggiamento diverso, Ognuno per sé e Dio per tutti dice un vecchio
adagio.
Questo provoca l’effetto che
ognuno di noi pensi alla propria pancia e basta. Se vi fermate al Corso,
vedrete tutta la gente impegnata negli acquisti di cose che potremmo bene
definire superflue, perché se non ho la borsa X o il cellulare Y dovrei potere
vivere lo stesso.
Questa folla impegnata negli
acquisti risponderebbe ad uno stereotipo che l’europeo bianco italico si è
figurato per definire sé stesso: uomo libero dentro il libero mercato
capitalistico.
In realtà sarebbe evidente che
l’uomo europeo italico non è assolutamente libero, dato che il capitalismo ti
rende libero di scegliere cosa comprare ma dà un’identità ad ognuno di noi a
seconda di cosa tu compri per cui è normale che un quindicenne strepiti con i
genitori per ottenere il palmare da 500 euro perché in gruppo c’è un ragazzo
che lo ostenta.
Si potrebbero fare molti discorsi
ma che il capitalismo-individualismo non sia un regime di libertà assoluta
dovrebbe essere evidente.
Il famoso e da me amato filosofo
Kierkegaard parlava di questa dimensione del singolo dentro la comunità della
Chiesa, dell’importanza del singolo davanti a Dio! Ogni uomo, ogni singolo uomo
è importante posto davanti a Dio e fa parte di una collettività alla quale è
chiamato a contribuire!
Il punto su cui riflettere, se i
problemi sono sempre gli stessi, è quello centrato da Gabriele: la dimensione
personale del Bene e del Male.
Affronto un punto dolente della
nostra società, tanto antico quanto dolente. Oggi si ritiene che le differenze
tra Bene e Male, come tra i principi in genere, non siano più nette, come una
volta. Non più bianco o nero, ma grigio, fumé e ogni possibile colore di intermezzo.
Questo porta a non distinguere tra
un’azione sbagliata e una giusta, a non schierarsi tra chi è pronto al
sacrificio individuale per la collettività e chi sfrutta la società per i
propri fini personali.
Questa dimensione personale della
responsabilità a scuola si insegnava nell’ora di Educazione civica (ma riguarda
l’educazione a tutti i livelli come sedimentazione spirituale-pratica delle
esperienze vissute e i ragionamenti che si sono da essa prodotti).
Se ognuno di noi cominciasse a
dire: ok, in questo quartiere mancano questo, questo e quest’altro, ma qual è
il mio apporto al quartiere? Cosa faccio io per il mio quartiere?, tutto
cambierebbe.
E se ognuno di noi iniziasse
gradualmente ad interrogarsi sul proprio quartiere e poi dal quartiere passasse
alla città, dalla città alla nazione, all’Europa, al mondo, credo che ci troveremmo
davanti al caso della riscoperta di una consistente emotività interiore che si
specifica nel rapporto etica-morale.
Se la nostra casa è il mondo,
dovremmo abolire il pensiero e le azioni che ci portano a pensare alla nostra
dimensione privata senza pensare a quella
pubblica. Senza pensare prima a quella pubblica.
Come affermava John Donne, no man is an
island!
Allora forza, siamo trentenni,
pieni di entusiasmo, ispirati da buoni valori antichi e pratici sognatori della
tecnologia e del futuro, riprendiamoci il presente!
Vito Lorenzo Dioguardi
Nessun commento:
Posta un commento