lunedì 12 novembre 2012

Start-up-oosy e collaborative consumption

Recentemente, si è scatenato un grossissimo dibattito, soprattutto sul web, intorno ad una nota dichiarazione che ha avuto ad oggetto il termine "choosy".

Questo post non entra nel merito del dibattito, ma ho voluto prendere spunto da questo tema per sviscerare un paio di concetti che sintetizzeranno l'idea di fondo che permeerà i nostri interventi e la filosofia di fondo di questo blog. Questo sarà (spero) anche l'ultimo dei miei interventi "generalisti", dal prossimo entreremo nello specifico sui problemi e sulle soluzioni possibili per la nostra Roma.


Con il massimo rispetto verso chi è al momento in una situazione oggettiva di mancanza di opportunità di lavoro, per cui non è "schizzinoso" ma anzi è impossibilitato ad entrare (o ri-entrare) nel mercato del lavoro, personalmente ritengo, e trovo anche conferme al riguardo, che non ci sia una ragione univoca dal lato del Ministro, o dal lato dei suoi detrattori. Come sempre, in medio stat virtus. Vi sono moltissime statistiche che dimostrano come oggi domanda e offerta di lavoro non siano solo lontane, ma non riescano nemmeno a mettersi in contatto. E il problema, spesso, non è lato offerta. Mi spiego meglio attraverso qualche esempio preso qua e là in rete.
  1. In questo articolo si sintetizza in maniera semplice e diretta come - purtroppo - si sia persa di vista la parola magica "gavetta".
  2. Qui si parla di come il concetto di fatica sembri sostanzialmente dimenticato.
  3. In quest'altro si mette in luce il problema del c.d. "mismatch" tra domanda e offerta, ovvero ci sono molte professioni (specie quelle che non richiedono la laurea) che vanno regolarmente in bianco, chi cerca, non trova.
  4. In quest'altro ancora, si descrive come molti pretendenti espatriandi puntino ad una delle mete più ambite, Londra, senza la necessaria motivazione o le unghie sufficientemente affilate per "emergere" in un mercato altamente competitivo e selettivo. Leggete anche i commenti, se ne avete voglia, ve ne sono di interessanti.
  5. Quest'ultimo articolo (in lingua inglese), spiega in un passaggio come molti selezionatori lamentino il fatto che circa il 50% dei candidati ad un'offerta di lavoro risulti non adatto, non qualificato, non abbia i requisiti richiesti dall'annuncio. Questo "costringe" i selezionatori, specie nelle società più grandi (ed ambite), magari anche loro in rango ridotto e sommersi di lavoro, a scremare i cv con dei programmi che cercano per "parola chiave". Ovvero quanto più il cv è fedele all'annuncio, in termini di esatta riproduzione delle parole richieste, tante più possibilità di venire pescato dal mazzo si hanno. Il che è paradossale, basta infarcire il proprio cv scopiazzando dall'annuncio, indipendentemente dalle effettive capacità o dalla verità di ciò che si afferma essere/saper fare, per balzare in cima alle preferenze, estromettendo magari chi ha le competenze, ma, proprio per questo, non è ossessionato dal mettersi in luce in maniera così sospinta. Morale della favola? Spesso il non qualificato supera l'argine e sostiene il primo colloquio, venendo poi chiaramente rifiutato. Le ricerche durano mesi, domanda e offerta non si incontrano, molti candidati non ricevono un briciolo di riscontro, selezionatori e aspiranti vengono frustrati allo stesso modo da un lavoro che diventa sempre di più una catena di montaggio.
  6. Per concludere, un piccolo aneddoto sul tema, tanto per parlare di cose concrete e non delle "solite" statistiche e dei "soliti" benpensanti: il cugino di un mio amico, forte di anni di studio e di una cultura familiare (borbonica) improntata all'inneggiamento della magnificenza, della assoluta superiorità, e del fine ultimo di ogni bravo giovanotto, del titolo di laureato (ma dove sta scritto?), dopo appunto essersi recentemente laureato si è trovato nella situazione di tanti ragazzi di oggi che non trovano lavoro, e dunque abbastanza demoralizzato e demotivato, rimanendo a casa per giorni senza nulla da fare. Chiamato per un colloquio da nota compagnia assicurativa, per una posizione commerciale in agenzia, in una città diversa dalla sua, ha esordito il suo colloquio con la domanda "Il lavoro che mi state proponendo, lo possono fare anche i diplomati?", sentendosi rispondere "Lo può fare chi ha le capacità di farlo". Inutile dire come è finito il colloquio.
Questa la sbrodolata di info sul tema. Di seguito alcune considerazioni. Innanzitutto un distinguo, tra chi nel mercato del lavoro c'è già (ma insoddisfatto/vessato/demoralizzato/mobbizzato cerca altro) e chi vi si affaccia per la prima volta. Partiamo da questa seconda categoria. Ripeto, nuovamente, tutto il discorso prescinde da un giudizio comunque critico sulla situazione del nostro Paese, che in ogni caso ha una serie di problemi strutturali da risolvere, e dall'oggettiva difficoltà di chi non rientra nelle due casistiche, ma per cause a sè indipendenti, è tagliato fuori dal mercato. Parleremo anche di questo, lungi da noi fare discorsi populisti o destinati solo a certe "classi" sociali. Ma nell'attesa di risolvere i nodi strutturali in maniera efficace, qualcosa va pur fatta. Vediamo cosa si potrebbe ipotizzare.
  1. Oggi come oggi le informazioni non mancano di certo. Internet e il web 2.0 ci consentono di recuperare indizi e soprattutto opinioni dirette di altre persone, praticamente per qualsiasi cosa.
  2. In questo senso, diventa secondo me fondamentale, rispetto ad esempio alla mia generazione e/o a quelle precedenti, il momento di uscita dalla scuola secondaria: non è più concepibile/ammissibile che si scelga un corso di laurea sulla base di considerazioni di massima, del consiglio dell'amico di banco, o delle aspirazioni dei genitori. E non è neanche ammissibile che si scelga la laurea solo perchè si sia convinti di dover ambire al colletto bianco nella vita. Spesso il lavoro di ufficio è più sottilmente vessatorio e deprimente di un altro lavoro materiale o intrapreso in proprio.
  3. Probabilmente non è umananemente possibile, o non si può pretendere, che un Paese (qualsiasi) offra opportunità soddisfacenti, competitive e remunerative per qualsiasi settore o ambito di specializzazione. Voglio dire, se pretendo di coltivare arance in Russia, con chi me la voglio prendere?
  4. Occorre dunque prendere in mano le redini del proprio destino fin da subito, molto presto, e valutare pro e contro, opportunità e rischi, in una logica similare a quella delle imprese in start-up (ovvero quelle che avviano la propria attività da zero): analisi del mercato, valutazione della concorrenza, individuazione della nicchia non o poco coperta, definizione della strategia di business, esecuzione. Tutti vorremmo poter fare delle nostre passioni il lavoro di una vita, ma, oggettivamente, non è possibile. E probabilmente non ci piacerebbe neanche, il ritmo e la monotonia del lavoro finirebbero per farci odiare la tanto amata passione (avete presente il "che noia il posto fisso"?). Inoltre, spesso abbiamo capacità e interessi che non conosciamo, potrebbe benissimo succedere di appassionarsi ad un'attività che prima non conoscevamo o che semplicemente non avevamo preso in considerazione.
  5. L'intuizione "sistemica" dovrebbe essere quella di evitare di inondare atenei e aziende di masse di neolaureati senza un chiaro obiettivo di cosa vogliono essere da grandi. Si eviterebbero grosse delusioni ed una lotta col coltello tra i denti tra coetanei e colleghi universitari, all'ultimo stage.
  6. Quindi, per i "giovani" che puntano a fare qualcosa nella vita, la parola d'ordine non è "non siate choosy", ma siate (dai, lasciatemelo dire, è così bello questo termine) "start-up-oosy". Ovvero scegliete PRIMA, con cognizione di causa, e poi lanciatevi. Vedrete che aiuta.
Ed ora, la filosofia spicciola per chi sul mercato del lavoro c'è già e vuole cambiare.
  1. Non "spammare" (linguaggio web, me ne rendo conto, lo "spam" è l'attività di inviare email a caso, magari con fini pubblicitari o di vendita). Ovvero non inviate cv a caso, con la tattica del " 'ndo cojo cojo".
  2. Non puntare solo sulla c.d. SEO (search engine optimization, ovvero la tecnica che si usa sul web per far sì che il proprio sito esca tra i primi risultati dei motori di ricerca), ovvero non infarcite il cv di termini presi pari pari dell'annuncio e non veritieri, servirà a ben poco.
  3. Non millantare conoscenze/competenze che non si hanno. I nodi verranno al pettine.
  4. In sintesi, rinunciare ad un pezzettino del proprio egosimo nel breve periodo, per un beneficio diffuso per tutti nel medio-lungo periodo. L'utilizzo dei programmi di ricerca parola chiave può essere subdolo, ma lo è ancora di più farsi concorrenza sleale tra chi è dallo stesso lato della trincea.
Perfetto, direte voi, ci hai fatto la tua brava lezioncina dall'alto della tua saggezza cosmica, adesso possiamo andare? Non ancora, ho quasi finito, aspettate. E prima di alzare indici o parole di accusa, ricordate che questi sono "consigli operativi" a chi, oggettivamente, PUO' metterli in pratica e PUO' incidere positivamente sullo stato delle cose (ovvero chi è ancora in fase di scelta del percorso di studi, e chi un lavoro ce l'ha già ma vuole cambiarlo). Se non vi identificate in una delle due casistiche, non prendetevela, non era diretto a voi. A voi penseremo in maniera meno sintetica, e più approfondita, perchè i vostri sono problemi che vengono dal passato, e non basta qualche "accorgimento" per risolverli, serve una strategia, una visione, ma anche una buona dose di realismo e concertazione.

Tutto quanto sopra, come detto, è un pretesto per esprimere il concetto di fondo che da qui in avanti permeerà il blog. Un concetto vecchio come il cucco, ma che soprattutto in questo periodo di crisi (economica ma anche di valori) è tremendamente attuale.

E' necessario riscoprire la dimensione umana e sociale dello "stare insieme". Pensiamo al bene ed al benessere comune, ed i vantaggi saranno diffusi e tangibili per tutti. Rompiamo il meccanismo che ci mette gli uni contro gli altri in una "guerra tra poveracci". La libertà di ognuno finisce dove comincia quella dell'altro. E' questo il concetto di fondo di una repubblica e di una democrazia. Spintonarci, passarsi avanti, fare i furbi, paga nell'immediato, ma danneggia tutti, in primis che ha perpetrato l'iniquo gesto, dopo poco.

Questo sarà il pensiero che guiderà tutti i nostri prossimi interventi. Le soluzioni "operative" che proporremo per la Roma 2.0, non saranno frutto di anni di ricerche di qualche professore chiuso in qualche biblioteca fuori dal tempo, saranno idee di gente che tutti i giorni ha a che fare con la nostra realtà, basate sul concetto di fondo "siamo una collettività, aiutiamoci gli uni con gli altri".

Su questo tema, spero di poter condividere con voi a breve un post di un mio caro amico, professionista stimato, che spiegherebbe e svilupperebbe maggiormente in dettaglio questo concetto di "collaborative consumption" o "consumo collaborativo", per permettere a tutti di sviscerarlo, digerirlo e assimilarlo. Dopodichè partiremo con interventi mirati sui vari problemi che affliggono la nostra città. Il tutto sarà condito da diverse opinioni, di persone diverse, con esperienze e professionalità diverse, per avere una visione quanto più sfaccettata possibile dei temi, sempre in ottica "collaborativa".

Quindi, ricordate, start-up-oosy e collaborative consumption!!!

Rimanete connessi...

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